“Il cinema serve a distrarre dalla realtà. Perchè la realtà è scadente. Per questo voglio un’altra vita, per questo voglio fare cinema”. Con queste parole  Paolo Sorrentino, il regista che il mondo ci invidia per la sua impronta felliniana, ha motivato la scelta di dedicarsi alla settima arte.  

Dopo gioielli come “L’uomo in più”, “Il divo”, “This Must Be the Place”, fino al successo oltre ogni previsione  de ” La grande bellezza”, il cineasta campano , molto più commosso che nella notte degli Oscar,  si aggiudica quest’anno il Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia con il suo film più autobiografico: “E ‘stata la mano di Dio”.

In esso Sorrentino racconta, con il cuore in mano, dell’incidente che gli portò via in una notte entrambi i genitori. Ma anche della sua Napoli, di come Maradona gli abbia salvato la vita e dell’ incontro con il cinema.

Una veste più intimista dove a parlare sono solo i sentimenti, quella del suo ultimo capolavoro, ma non totalmente dissimile dal Sorrentino di sempre che sa offrire chiavi di lettura sempre nuove in un contesto suggestivo e onirico che non smette di emozionare.

A Venezia è venuta ad applaudirla tutta la classe (in riferimento al rammarico espresso dal regista  nel discorso di ringraziamento per la presenza di una ristretta rappresentanza di suoi compagni al funerale dei genitori)…

” Ho provato un’emozione immensa nel ricevere un simile riconoscimento per un film non facile. Sono stato a Venezia nel 2001, quando ero agli esordi. Mi piace pensare che, vent’anni dopo, sia un nuovo inizio”

Ci vuole grande coraggio nello svelarsi in un film tanto autobiografico. Pensava di possederlo o lo ha scoperto in corso di lavorazione?

“Nella vita mi considero pauroso, ma nel mio lavoro  mi sembra di essere stato sempre piuttosto temerario. Qui si richiedeva un tipo di coraggio differente, anche se questa difficoltà riguardava più la scrittura che la realizzazione. In essa, il pragmatismo della quotidianità ha fatto svanire quasi del tutto le paure. Che riaffioravano solo in alcuni momenti”

In che cosa questa pellicola si differenzia dalle altre? C’è chi parla di film di svolta…

“Già da quando abbiamo iniziato a girare le prime scene, mi sono accorto che questo progetto non era come i precedenti: appariva più semplice, essenziale, un’opera in cui si fa a meno di tutto per lasciar parlare i sentimenti, le emozioni…”

Paolo Sorrentino Mostra del Cinema Venezia

Cosa le ha fatto pensare che fosse arrivato il momento di condividere la sua storia con il pubblico?

” Compiuti i cinquant’anni, età giusta per fare bilanci, mi sono sentito pronto. Nella mia vita di ragazzo amore e dolore erano legati a filo doppio. Mi è sembrato che tutto questo potesse essere declinato in un racconto cinematografico, indipendentemente dalle mie esigenze e bisogni”

C’è qualcosa di lei che ha compreso e pensa di averci rivelato?

“Spero di aver dato una spiegazione ad alcuni miei comportamenti infantili che persistono in età adulta. Certi dolori sono così devastanti da interrompere in modo traumatico la spensieratezza degli anni giovanili. Ci si ritrova adulti di colpo continuando, però, a rimanere un pò bambini”

Il titolo del suo Amarcord è anche una filosofia di vita…. Cosa rappresenta per lei questa frase?

“Sono parole bellissime e insieme paradossali perchè pronunciate da un calciatore che fa riferimento all’ unica parte del corpo( le mani) che non può essere usata nello sport che pratica. Mi è sembrata una metafora perfetta  legata al destino e a chi crede nel potere divino. E io credo ad un potere semi divino di Maradona”

A proposito di Diego Armando, è riuscito, prima della sua scomparsa, a parlargli  di “E’ stata la mano di Dio”?

“Purtroppo no. Non era facile arrivare a lui. Il mio più grande rammarico è di non avergli potuto mostrare il film. Sarebbe stata, per me, la realizzazione di un sogno”

Cosa ha provato quando il suo mito è mancato?

“Il senso di perdita che ha generato la sua morte è un sentimento non esprimibile a parole. Oppure sono io a non esserne capace”

Tony Servillo può essere considerato il suo portafortuna?

“A chi mi chiede come mai abbia fatto l’ennesimo film con questo straordinario attore rispondo: ” Vedete dove sono arrivato lavorando con Tony…”

Qual è l’insegnamento più importante che le ha lasciato Antonio Capuano, suo nume tutelare?

“Una delle caratteristiche di questo regista, che per me si è rivelata molto utile, è la capacità di creare il conflitto. Quest’ ultimo, non l’azione pacifica, ispira la maggior parte delle cose positive della creazione cinematografica. Oltre a questo, Antonio mi ha trasmesso un’ insesauribile vitalità che ho goffamente cercato di imitare”

Raccontando la sua storia, su quale aspetto, per esigenze cinematografiche, non sarebbe mai venuto a patti?

” Il racconto cinematografico ha esigenze imprescindibili e spesso richiede che verità e finzione si intreccino. Quello che mi premeva non fosse mai tradito erano i sentimenti e le emozioni che avevo provato in quegli anni.”