La sua arma vincente è un mix irresistibile di innocenza e mistero.  Un fascino androgino che, unito ad un considerevole talento, ha fatto di Timothée Chalamet una vera star hollywoodiana. Era uno dei più attesi quando, alla passata Mostra del Cinema, giacca casual, occhiali scuri e ciuffo ribelle, è sbarcato al Lido di Venezia per la prima mondiale di Dune, kolossal fantascientifico di Denis Villeneuve.

Aveva già dimostrato il suo talento in pellicole importanti come  Lady Bird Beautiful BoyPiccole donne, The King, che hanno fatto scoppiare la cosiddetta  “Chalamania”, confermata dalla marea di fans che spasimano per il diafano attore.

Figlio di un giornalista francese impiegato alle Nazioni Unite e di un’ex ballerina americana, il ventiseienne ha trovato la notorietà con il film di Luca Guadagnino “Chiamami col tuo nome”, un inno alla bellezza della fragilità e alla forza dell’amore a cui il giovane interprete ha dato mirabilmente un volto. Il fortunato sodalizio professionale e umano tra attore e regista sarà riconfermato in “Bones and All”, pellicola presente alla prossima edizione di Venezia 2022.

Paul Atreides è l’erede di una grande dinastia, dotato di poteri superiori come capacità distopiche e di premonizione… Come si è preparato a questo ruolo fantascientifico?

“Ho cercato di avvicinarmi il più possibile al personaggio originale. Desideravo conoscere la storia prima di incontrare il regista, per questo ho letto il libro di “Dune” prima che ci vedessimo a Cannes, tre anni fa, per parlare del film. Poi mi sono lasciato guidare e ho avuto la fortuna di collaborare con uno staff eccezionale: durante le riprese ci siamo appoggiati molto l’uno all’altro da un punto di vista emotivo. Sono tutte persone che ammiro e mi sento di definire fratelli e sorelle”

Da un punto di vista fisico invece?

“Mi è stato molto d’ aiuto lavorare con Roger Yuan, meraviglioso coordinatore degli stuntman. Con lui mi sono allenato moltissimo nella lotta  per poi continuare con altri attori sulle scogliere in modo da provare l’ impatto con quel tipo di suolo”

Timothee Chalamet nel film Dune
Timothee Chalamet

A proposito di suolo… si è parlato molto della sua sand wolk( camminata sulla sabbia)…

“L’idea è stata suggerita da uno dei coreografi che mi ha mostrato un video di una ragazza che la faceva su una spiaggia di Los Angeles. Abbiamo, quindi, deciso di riproporla nonostante il rischio di essere divorati dai vermi della sabbia.”

Con quali attori ha lavorato maggiormente?

“Ho cercato di trascorrere più tempo possibile con Rebecca Ferguson e Oscar Isaac che interpretano i miei genitori per creare familiarità con loro.  Sul set, come ho già detto,  si è creata un’affinità comunicativa ideale. Questo mi ha rassicurato da subito, abbattendo tante barriere”

Risulta più difficile, in un film di fantascienza, risultare credibili?

Durante la lavorazione ci siamo poi preoccupati di evitare troppi artifici e di far sì che i personaggi e le ambientazioni risultassero realistici”

Ricorda una sequenza per lei più difficoltosa di altre?

“Ero intimorito dalla scena con la grande Charlotte Rampling in cui Paul vive il primo di numerosi riti di passaggio, inserendo la sua mano all’interno di una scatola di tortura, mentre la Reverenda Madre (Charlotte) tiene un ago avvelenato sul suo collo. Solo sopportando il dolore e compiendo una sorta di metamorfosi, un po’ come in un esorcismo, il mio personaggio può dimostrare di essere un uomo e risveglia una forza di cui non era consapevole”

E’ felice del sequel di Dune?

” Per me è un vero sogno! Sono estremamente grato al regista e alla produzione per avermi permesso di fare un’esperienza così straordinaria. Questo è un film che leggi, che giri e che la gente va a vedere”.

Qual è, a suo avviso, il messaggio più importante veicolato da questo kolossal?

“Il film parla anche di colonialismo, degli aspetti distruttivi dello stesso, dell’avidità legata alla distruzione dell’ambiente, di sovrabbondanza dei profitti che non  porta solo alla degenerazione etica e morale, ma anche alla distruzione del pianeta in cui viviamo. Si tratta di temi cari alla mia generazione non solo negli Usa, ma ovunque”