Non sopporta il genere di film (l’horror) che l’ha resa celebre anche se gli è grata. Jamie Lee Curtis ha un’indole paurosa e, durante le riprese, si spaventa veramente. Forse per questo riesce ad essere così credibile nei panni di Laurie Strode, eroina della saga da brivido legata ad Halloween che ha accompagnato il suo percorso artistico contribuendo, quest’anno, a farle ottenere il Leone d’Oro alla carriera.
Ironica, sbarazzina, capelli sale e pepe, stile androgino, l’attrice sembra lontana dagli stereotipi hollywoodiani, eppure quell’ambiente lo ha vissuto dalla nascita in quanto figlia di due stars come Tony Curtis e Janet Leigh, protagonista di Psyco.
Il thriller è dunque una sorta di karma per Jamie che preferisce andare oltre il sangue e la suspence, individuando, nelle pellicole che interpreta, dei meta significati come la fratellanza nelle avversità, la vittoria sui propri demoni, la capacità di guardare al futuro.
Con questa prospettiva, l’interprete di “Halloween Kills”( presentato alla Mostra di Venezia 2021) si prepara al terzo capitolo della trilogia di David Gordon Green: “Halloween Hends” in uscita nel 2022.
Che cosa rappresenta per lei il Leone d’Oro?
“Potrebbe sembrare un riconoscimento conferito alla fine di un percorso professionale, ma io mi sento più creativa oggi che agli inizi e sono molto onorata di riceverlo”
Sembra trovarsi particolarmente a suo agio nei panni di Laurie Strode…
” Interpreto questo ruolo da 43 anni, cosa che non credo abbia dei precedenti nel cinema. Sono cresciuta con lei e ne ho visto i cambiamenti nel tempo: è intelligente, coraggiosa, romantica, capace di reagire contro le avversità. Un messaggio di forza per le donne”
Come lavora sulla costruzione di un personaggio?
” Non ho una formazione da attrice, mi preparo emotivamente. Di natura sarei una persona paurosa, ragion per cui, quando sullo schermo mi vedete terrorizzata, è perchè lo sono veramente. Questo rende la mia interpretazione più naturale e spiega anche perchè io odi i thriller: non mi piace spaventarmi”.
Qual è il messaggio di Halloween Kills?
“Siamo tutti esseri umani. Lo spettatore empatizza con Laurie perchè, come lei, combatte contro i demoni della sua vita. Durante l’ultimo ciak di “Halloween”( primo capitolo della trilogia di Gordon Green del 2018) al mio arrivo sul set, tutta la troupe è rimasta in piedi in silenzio per farmi capire che mi era vicina e che, in quanto persone, siamo tutti sulla stessa barca”.
E i suoi punti di forza?
“In primis la veridicità. Si ricreano situazioni autentiche: persone reali in luoghi reali. Mancano scene artefatte e la brutalità non è costruita”.
Nei suoi film ricorre spesso l’eterna lotta bene-male. Non le sembra che quest’ultimo, ad oggi, sia ancora troppo presente?
“Basta accendere la tv per rendersene conto, soprattutto in alcune parti del mondo. Il bene esiste ancora, ma assistiamo solo a sue piccole sporadiche vittorie. E’ un’epoca difficile, ma non è stata l’unica. E se guardiamo alla totalità della storia ci accorgeremo che il male, spesso, è stato battuto dall’ avversario”
Qual è, a suo avviso, l’importanza della musica da film nella psicologia delle emozioni?
“Fondamentale. Nel 1978, John Carpenter ( primo regista della saga Halloween) ha scritto la colonna sonora del film da solo con un sintetizzatore e un budget alquanto limitato. La bellezza di quelle note sta proprio nella loro semplicità”
I tre film della sua carriera che considera più importanti…
“Non è facile scegliere, ma citerei “Halloween”, “Un pesce di nome Wanda” e “True Lies”
Sa che la commedia “Una poltrona per due”, in Italia, viene trasmessa ogni vigilia di Natale?
“Me l’hanno detto e ne sono lusingata. Siete così diversi dagli americani! Adoro questo ever green che fa ancora molto ridere perchè, dopo le esperienze horror, ha rappresentato il mio esordio nella commedia cui hanno fatto seguito altre pellicole brillanti come “Un pesce di nome Wanda”.
Cosa ama di più del fare cinema?
“L’idea che un gruppo di persone si riunisca per condividere un progetto e che il risultato sia il frutto della sinergia di tutto il team mi commuove. Considero la troupe una famiglia e i momenti più belli quelli trascorsi insieme”.