Biondo, occhi azzurri, mascella volitiva e abbigliamento da gentleman old fashion con tanto di pochette floreale al taschino. Chris Pine sembra più il prototipo del principe azzurro che il messia sexy interpretato in “Don’t Worry Darling”, opera fuori concorso a Venezia 79.
Questa definizione, tuttavia, sembra divertirlo (“è la didascalia di presentazione del mio account Istagram”, scherza ammiccando con i colleghi ) e calza a pennello al guru seduttivo e plagiante del film di Olivia Wilde.
Niente di più lontano da chi lo impersona: un bello che ha dato prova di “ballare” sia davanti (“Wonder Woman”, l’ultimo “Star Trek”, “Dungeons& Dragons: L’onore dei ladri”) che dietro (“Poolman”) la macchina da presa.
E pensare che, sebbene sia figlio d’arte, la passione per il cinema non è stata per Chris un colpo di fulmine…
Che effetto le ha fatto entrare nella dimensione parallela di Victory?
“La cosa sorprendente sono le forti attinenze tra questa realtà distopica e quella in cui viviamo. Molte volte non ci siamo sentiti attori su un set, ma ci è sembrato di avere a che fare con il mondo che ci circonda. Anche in quest’ultimo, come in Victory, tutte le cose più belle e suggestive possono nascondere un lato oscuro”.
Il suo personaggio è una specie di messia sexy…
“L’elemento fondamentale è il linguaggio. Tutti gli imbonitori lo utilizzano come arma anche se Frank, il guru del film, non imita nessuno: è un ologramma che associa la bellezza all’ ottusità”.
Come opera nello specifico?
“Insieme alla regista e alla scenografa abbiamo cercato di ricostruire la trama ingannevole che Frank crea e utilizza attraverso le parole. La sua efficacia risiede nel fatto che molti degli artifici verbali da lui utilizzati hanno un senso logico”
Me ne elenca uno?
“La tematica del caos. Ogni giorno noi cerchiamo di disciplinarlo e tenerlo sotto controllo; il mio personaggio offre ai suoi “seguaci” una soluzione, ma l’aspetto su cui mettere l’accento è il motivo per cui lo fa: esercitare un controllo su di loro. Per sentirsi forte”.
Una scena del film mette in luce in modo molto efficace la mania del controllo di Frank…
“Nel corso di una festa anni ’30 in pieno stile Victory, questa sorta di profeta incita gli invitati con un fervore messianico che ricorda i discorsi di Hitler. Come di consueto, ha i capelli perfettamente sistemati, ma nell’enfasi del discorso un ciuffo ribelle gli cade sul viso. La cosa lo infastidisce enormemente perchè turba il suo ordine maniacale”
Come lo ha esternato?
“Immedesimandomi in lui, con un gesto di stizza, ho sollevato i capelli con tutto il palmo della mano e ripristinato la compostezza iniziale”.
Lei è attore, sceneggiatore, regista e produttore, eppure il cinema non è stata la sua passione da sempre…
“Recitare non era il mio sogno d’infanzia anche se, ad un certo punto, ha polarizzato i pensieri e l’interesse, prendendo il sopravvento sul resto. Lo stesso è avvenuto con la regia: l’idea di dirigere “Poolman” non era in programma, è nata all’improvviso come un fulmine a ciel sereno”.