Molto più di un attore di indiscusso talento. E’ la produzione l’attività che, negli ultimi anni, coinvolge sempre di più Brad Pitt e gli ha fatto guadagnare tre Oscar, optando per scelte d’autore e tematiche di livello.

Questo non gli ha impedito di raggiungere grandi traguardi anche davanti alla macchina da presa: è stato recentemente protagonista, insieme a Leonardo DiCaprio, dell’attesissimo “Once Upon a Time in Hollywood”, firmato Quentin Tarantino e di “Ad Astra”, di James Gray, la storia di un uomo alla ricerca del padre e di sé stesso fra le stelle. Proprio la presentazione di questa nuova pellicola, di cui Brad è anche produttore, lo ha portato alla Mostra del Cinema di Venezia.

Lì si è concesso a una lunga sessione di autografi e selfie, conquistando pubblico e critica con la semplicità di chi non si prende troppo sul serio, minimizzando un successo planetario e la bellezza senza tempo, frutto di un rapporto risolto con la propria immagine.

(Risponde alle domande in conferenza stampa)

Brad Pitt

Cosa l’ha portata ad interpretare e produrre una storia così intimista, collocata in uno spazio tanto vasto come il macrocosmo?

“James (Gray-il regista) ed io siamo amici dagli anni ’90 e avevamo sempre desiderato lavorare insieme. La fortuna ha voluto che il momento sia arrivato. Questo abile professionista, all’apice della sua capacità narrativa, mi ha fatto leggere la sceneggiatura di “Ad Astra” che io ho sottoposto anche ai miei collaboratori di Plan B ( la società di produzione di Pitt). Il messaggio che Gray voleva veicolare era molto allettante per me come uomo, figlio e padre”.

Si spieghi meglio…

“Per quanto cerchi di nasconderlo, ognuno di noi porta dentro di sè delle ferite, dei dolori che risalgono all’infanzia. Il ruolo dell’attore è utilizzare quelle sofferenze ed emozioni. Se io non sono autentico in quello che trasmetto non lo sarà nemmeno lo spettatore”.

Quale dote riconosce principalmente a questo regista?

“La capacità di raccontare gli eroi cinematografici attraverso una sua visione personale. Sono molto soddisfatto della sintonia che abbiamo raggiunto in questo lavoro: abbiamo dimostrato grande apertura riguardo ai nostri sentimenti, emozioni, fallimenti. James mi inviava delle mail, parlandomi anche di aspetti che riguardavano la sua vita personale. Questo ci consentiva di comuni- care in modo aperto, senza filtri o protezioni”.

Quali sono state le difficoltà maggiori?

“È stato il film che mi ha messo più duramente alla prova. Non è facile mettere in scena il complesso rapporto tra un padre e un figlio, riuscendo a mantenere il giusto equilibrio e in modo delicato”.

“Ad Astra”, al di là della missione spaziale, è soprattutto un viaggio alla ricerca di se stessi. Lei si è fatto portavoce di solidi ideali sia nella vita privata che lavorativa, quanto è stato gratificante accettare un film così onesto in un epoca in cui questo valore sembra sottovalutato?

“Nel realizzare questo lavoro ci siamo soffermati particolarmente sulla nostra idea di mascolinità. Viviamo in un’epoca in cui ci è richiesto di essere forti, corazzati, capaci di difenderci e farci rispettare. Per riuscirci, finiamo inevitabilmente con l’alzare delle barriere e stringerci in noi stesssi, negando il dolore, la vergogna, le emozioni. La domanda sottesa al film è: abbiamo la possibilità di creare dei rapporti migliori con chi amiamo? Genitori, figli, ma anche con noi stessi?”.

Cosa prova ad essere così amato dal pubblico e considerato un sex symbol?

(Abbassa gli occhi con timido imbarazzo e un candore difficilmente ipotizzabile in una star del suo calibro. Poi dribla la domanda…)

Cosa la guida nella scelta di un film da interpretare o produrre?

“Sono stato “svezzato” con i grandi personaggi delle pellicole anni ’70 che non si potevano definire nè buoni nè cattivi, ma semplicemente umani. Sono le storie che prediligo, amo la complessità d’animo e l’idea di non vedere le cose interamente bianche o nere, senza le dovute sfumature. Poi penso: se questo film tocca il mio animo, accadrà anche a quello di chi lo vede”.

Ha mai sognato di andare veramente nello spazio? Pensa che avrebbe una sensazione di libertà?

“In “Ad Astra” la galassia appare come un luogo sperduto, solitario, dove si rimane in vita grazie a dispositivi collegati alla navicella. Mi sento molto più a mio agio in mezzo alla natura e in compagnia dei miei amici”.

Ha visto “Gravity”? Si è confrontato con l’amico Clooney, data l’affinità, almeno ambientale, dei due film?

“Ambientare un lungometraggio nello spazio significa, spesso, penzolare in aria o girare in situazioni non necessariamente comode. George ed io ci siamo raccontati degli aneddoti su questi aspetti…”.

Per questo film si parla già di Oscar… spera di riceverlo anche come attore protagonista?

“Vorrei venisse candidato perchè ci abbiamo lavorato molto, tutti. L’opera spazia su diversi fronti, tocca più tematiche e ha molto da dire. Sono davvero curioso di vedere come verrà percepito da pubblico e critica”.