Youssef Nabil, artista egiziano all’esplosivo potenziale visionario non disdegna alcun mezzo espressivo per manifestare la sua visione colta e sfaccettata di una cultura sospesa fra tradizione e contemporaneità.
Utilizza infatti varie forme espressive: dalla fotografia alla pittura, dal video alle installazioni, correndo sul filo della memoria legata alla storia del suo Paese d’origine, rendendosi allo stesso tempo quanto mai partecipe del suo tempo, fra avanguardia tecnologica e comunicazione globale.
Chi è dunque Youssef Nabil, visual artist nato a Il Cairo nel 1972, trapiantato a Parigi e New York e assurto alle vette del collezionismo internazionale attraverso una fitta rete di mostre d’alto profilo organizzate in gallerie private e spazi museali ? Nabil era già artista affermato una decina di anni fa quando produsse il suo primo video, “You never left”, di cui volle protagonisti Fanny Ardant e Tahar Rahim, primadonna francese del grande schermo e attore franco-algerino assai noto sia in ambito arabo che europeo.
Ambientato in un luogo irreale, metafora di un Egitto perduto, l’opera sintetizza passato e presente, nostalgia e solennità, dando prova del rapporto complesso che lega l’artista a uno dei miti che più alimentano il suo immaginario: il cinema, sia esso hollywoodiano o egiziano. L’artista è infatti cultore appassionato sia dell’universo di segni e colori che attraversano un secolo di cinematografia egiziana sia dello star system che ruota intorno alla produzione internazionale. Vari i ritratti da lui scattati ad attrici come Catherine Deneuve, Charlotte Rampling, Isabel Huppert o Alicia Keys, presentate con il velo sul capo, come impone il costume islamico.
Oggi François Pinault, il magnate francese patron delle arti, che possiede varie opere di Nabil nella Pinault Collection, ha deciso di presentarlo in una vasta monografica che, dopo il lockdown, insieme ad altre rassegne espositive, ha riavviato la stagione espositiva veneziana di Palazzo Grassi. Sotto la direzione di Bruno Racine, che sostituisce da quest’anno Martin Bethenod, passato alla nuova Bourse de Commerce di Parigi, la mostra, intitolata “Youssef Nabil. Once Upon a Dream”, è curata da Matthieu Humery e Jean-Jacques Aillagon (dal sabato al lunedì, fino al 10/1/2021).
CELEBRITIES INTERNAZIONALI COME DONNE ARABE
Gli albori della carriera di Youssef Nabil risalgono ai primi anni ’90, quando, lasciato l’Egitto, iniziò a girovagare fra New York e Parigi come assistente di affermati fotografi, incontrando artisti e celebrities. Molte le “dive” ritratte in toni melodrammatici ed esotici, come eroine di colossal in cinemascope, secondo la tradizione filmica egiziana.
La sensibilità per il colore e un certo suo gusto retrò lo avrebbero presto indotto a dipingere a mano le stampe, mettendo a punto immagini idealizzate, dal sapore vintage, ispirate a cartoline pubblicitarie e locandine cinematografiche che a metà Novecento venivano dipinte manualmente, secondo una tecnica ancora in uso fino a poche decine di anni fa negli studi dei ritoccatori cinematografici de Il Cairo e di Alessandria.
Nabil iniziò a frequentare nel ’99, al ritorno dai primi anni newyorkesi, questi luoghi, volendo appropriarsi di tecniche artigiane e finezze di tocco pittorico. Acquisiti molti dei loro segreti, l’artista si sarebbe poi liberato dagli stereotipi locali, “contaminando” le sue visioni con incursioni di sapore pop – dall’imagerie del genere Western alle citazioni colte dalla storia dell’arte -, e avvicinando le sue immagini al gusto contemporaneo attraverso l’impronta glamour.
In particolare, a cinque anni dal primo video “You never left”, Nabil mise in evidenza luci e ombre della cultura del suo Paese presentando nel 2015 l’emblematico video “I saved My Belly Dancer”, dove la star messicana Salma Hayek, abbigliata nelle tradizionali vesti egiziane di danzatrice del ventre, interpreta la figura della donna araba divenuta icona di epoche leggendarie, ma anche memento di una condizione sociale complessa, tra esaltazione della sessualità e repressione, tra vita e morte, trasfigurandola, grazie alla sua popolarità di attrice globale, in chiave mediatica.
A VENEZIA TUTTA L’OPERA IN UNA MOSTRA
Sospeso tra visione immaginifica del passato, espressa grazie a un sogno interminabile in Technicolor, e proiezione verso la dimensione disincantata del XXI secolo, ecco dunque Youssef Nabil presentare a Palazzo Grassi, a documentazione della sua carriera, 120 opere, scandendo a ritmi serrati la narrazione della sua storia di uomo e d’artista.
Ricorrono negli scatti figure di donne arabe (e non) in vesti di danzatrici o di fumatrici di narghilè e di uomini abbigliati in preziosi caftani dall’appeal erotico. In altri ritorna l’immagine dell’artista stesso, ripreso di spalle, mentre si rivolge a scrutare lo scenario dello skyline delle metropoli egiziane, sospeso fra cielo e mare, poiché la difesa dell’identità delle origini mediterranee e l’omaggio a un’età dell’oro ormai perduta in Nabil si intrecciano sempre strettamente.
Chiarisce il “quadro” della sua personalità e il significato della sua opera il testo in catalogo (Marsilio) di Linda Komaroff, curatrice e responsabile del Dipartimento di Arte del Medio Oriente del museo LACMA di Los Angeles, che ben conosce l’opera di Nabil, come anche la trascrizione della conversazione fra Nabil e lo scrittore egiziano André Aciman, cresciuto ad Alessandria.
Quest’ultimo, docente di Letteratura a New York è, tra l’altro, autore del romanzo “Chiamami con il tuo nome”, da cui Luca Guadagnino ha tratto qualche anno fa l’omonimo film.