Difronte alla mole sterminata di nuovi autori di fotografie d’arte che dell’avvento del digitale ne è conseguenza, diventa sempre più raro e difficile imbattersi in opere interessanti che colpiscano la nostra attenzione prima, e che ben rappresentino una compiutezza d’intenti fedeli all’idea di progetto narrata dall’autore o dalla critica specializzata. Ecco dunque che le opere di Stefania Lippi emergono in maniera significativa tra le proposte più attuali perché doppiamente importanti.
Le sue fotografie non solo si presentano con un linguaggio contemporaneo affascinante e suggestivo, ma ancor più nella sostanza sono esse stesse estremamente aderenti a un’idea di progetto sin da subito chiara e evidente. Stefania Lippi è una fotografa concettuale il cui lavoro esplora i sistemi di produzione e visualizzazione delle immagini, il discorso dei media e del capitalismo, la soggettività umana e l’interazione tra identità ed ambiente urbano, indagato al fine di risvegliare una critica ed una maggior coscienza sociale.
Questi temi trovano ampi riferimenti nel cinema d’autore, ad esempio in alcune opere del regista tedesco Wim Wenders. Come non pensare alle immagini iniziali del film Il cielo sopra Berlino, che anagraficamente ben si collocano all’epoca della formazione dell’autrice. Ma potremmo andare più indietro e collocare le opere di Stefania Lippi in una lunga tradizione di scoperta ed analisi sociopolitica svolta proprio attraverso il mezzo fotografico, a partire da autori di grande importanza come Eugène Atget, che nei primi del ‘900 ritraeva la città di Parigi nei riflessi delle vetrine dei negozi, giocando sulla sovrapposizione di immagini e significati.
Ecco che la sostanza delle opere di Stefania Lippi appare solida, densa di rimandi e citazioni, sino a concretizzarsi in una sorta di readymade che intraprende con i mezzi dell’attualità e i nuovi media digitali un’indagine dadaista ambientata nel presente. La sua fotografia appare critica, adopera i codici dell’immagine visiva in maniera profonda e strutturata. Le sue immagini si presentano come ammiccanti distopie che trovano la giusta collocazione nella cultura alta della fotografia contemporanea.