Christoph Waltz lo abbiamo odiato in “Bastardi senza gloria” nei panni del diabolico colonnello Landa (l’incontro inizia proprio con la scena del film, che gli è valso l’Oscar e la Palma d’Oro come Migliore Attore al Festival di Cannes, in cui il nazista propone un patto tra gli alleati e il tenente Aldo Raine alias Brad Pitt) e in “Django” dove interpreta lo schiavista dottor King, entrambe pellicole di Quentin Tarantino.

Sessant’anni, pluripremiato, l’attore austro tedesco dallo sguardo di ghiaccio e con alle spalle una lunga gavetta, anche teatrale, ha ricoperto tanti ruoli oscuri: da Carnage di Polanski a Spectre di Mendes, fino a Big Eyes di Tim Burton e li definisce essere i più divertenti e stimolanti. Elegantissimo nel suo abito scuro, Christoph è stato loquace e sorridente con il pubblico anche se orse per non smentire la sua fama di tenebroso, ha dichiarato di odiare i “selfies” e tutti i social media.

E’ stanco dell’ etichetta di “cattivo”?

“Ho lavorato per 35 anni prima di arrivare a Hollywood; tra cinema e tv ho interpretato almeno 150 ruoli nei quali non sono sempre stato il cattivo, basti pensare al mio ultimo personaggio in “Downsizing” (la commedia di Alexander Payne che ha aperto la Mostra del Cinema di Venezia in cui è un divertente contrabbandiere serbo alto dodici centimetri). Devo ammettere, tuttavia, che essere l’antagonista è molto più divertente: drammaticamente parlando, è il personaggio che porta avanti la storia e crea il conflitto, quindi è il ruolo più interessante in assoluto”.

Parlando dell’esperienza con Tarantino…

“Questo regista geniale e anticonformista concentra tutto sulla sceneggiatura: inquadra il contesto insieme ai ruoli e poi lascia il personaggio libero di agire anche se tutto è già scritto nella sua mente, per questo è sempre un passo avanti agli altri”.

Polanski invece?

“E’ l’opposto di Tarantino: se Quentin può essere definito classico, Roman è barocco. Ammiro molto entrambi”.

Quali sono stati i suoi attori di riferimento?

“Non rimangono gli stessi, cambiano crescendo. Io, ad esempio, adoravo Marlon Brando e oggi non riesco più a vedere certi suoi film”.

Tre pellicole a cui è particolarmente legato?

“Il momento della verità di Francesco Rosi, Vivere di Akira Kurosawa e I vitelloni di Federico Fellini. Ciò che li accomuna è che, in tutte queste storie, i protagonisti non cercano l’affermazione sociale, ma vogliono cambiare le cose e fare la differenza”.

Infine ricorda con nostalgia il grande Federico Fellini…

“L’ho incontrato a Zurigo, in occasione del casting de “La nave va”. Gli feci vedere il mio book e, Fellini, osservò tutte quelle immagini con espressioni da duro tra le quali si distingueva un solo scatto in cui ero sorridente. Il regista chiese alla sua assistente un paio di forbici, tagliò tutto il resto della faccia e si tenne solo il sorriso”.

Move still from Django unchaned