Senza il cinema Italiano non sarei quello che sono
Grande protagonista della tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è stato, senza dubbio, Martin Scorsese, omaggiato del Premio alla carriera dalle mani di Paolo Taviani.
Il regista italo americano, che ha firmato capolavori come “Taxi Driver”, “Toro Scatenato”, “Quei bravi ragazzi”, “L’età dell’innocenza”, passando per “Gangs of New York”, “The Aviator” e il recente “The Irishman”, è stato protagonista di un imperdibile incontro ravvicinato con il pubblico nel corso del quale ha ripercorso la sua carriera cinquantennale, evidenziando i film italiani che lo hanno maggior- mente influenzato e ribadendo il suo impegno nella conservazione del cinema del passato attraverso “The Film Foundation” da lui presieduta.
Elegante nell’abbigliamento e nei modi, questo mostro sacro del cinema si è raccontato con umiltà, gratitudine e un pizzico di emozione ad un pubblico numeroso (presenti in sala anche Giuseppe Tornatore e i collaboratori di Scorsese Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo) e ammirato.
In che modo il neo realismo ha influenzato il suo cinema?
“Quando avevo 5 anni, avevamo a casa un piccolo televisore che trasmetteva i film neorealisti. Per me quello non era cinema, ma il mondo reale dato che vi trovavo sempre delle analogie con la vita che conducevo e il mio ambiente familiare. Rossellini ha dato un grosso contributo al rinnovamento del cinema: quando ha avuto la percezione che l’arte fosse troppo rivolta verso se stesso, ha deciso di cambiare realizzando film didattici. Questo modo di comunicare mi ha spinto a utilizzare lo stesso metodo nei miei film da “Toro Scatenato” a “Re per una notte” fino alle produzioni più recenti”.
Con Rossellini vi siete mai incontrati?
“Una volta, per strada, proprio qui a Roma. Erano gli anni ’70. Mi sono complimentato e gli ho parlato della sua popolarità in America anche se, per lui, la cosa più importante era diffondere la conoscenza, insegnare qualcosa”.
Con Fellini invece?
“Ho avuto il piacere di incontrare Fellini più volte, una delle quali sul set de “La città delle donne”. Da “La strada”, primo film che ho visto, in poi ho sempre ammirato la sua genialità, la capacità di “disegnare ” i personaggi e catturarne l’essenza. Negli anni 90 c’era l’intenzione di produrre un documentario insieme ma, purtroppo, se n’è andato prima…”.
Quale altro cineasta, a suo avviso, ha rivoluzionato il modo di fare cinema?
“Antonioni ha ridefinito il linguaggio cinematografico, liberandosi dai canoni della narrazione e dei personaggi. Ho dovuto imparare a leggere i suoi film come una sorta di “arte moderna” dell’epoca. C’è stato un periodo in cui guardavo ripetutamente “L’Ecclisse” (1962), parte della trilogia che comprende anche “L’avventura” e “La notte”. In questa pellicola, la narrazione avviene attraverso l’utilizzo della luce, del buio e dell’oscurità. Possiede, inoltre, uno dei finali più belli che abbia mai visto”.
Tra i suoi riferimenti cinematografici lei cita anche Luchino Visconti…
“È evidente l’influenza che “Il Gattopardo” ha avuto sul mio film “L’età dell’innocenza”: il ritmo volutamente lento e meditativo, il raccontare l’antropologia di un contesto storico partendo dal più piccolo dettaglio fino ad arrivare al macrocosmo. La pellicola di Visconti combina impegno politico e melodramma in modo libero, sciolto, cosa che ho cercato di sviluppare con De Niro quando abbiamo girato “Toro Scatenato”. Un aspetto che mi colpisce ne “Il Gattopardo” è lo scorrere del tempo visto con gli occhi del principe Salina quando capisce che vecchi valori lasceranno spazio al nuovo e lo accetta in virtù di un pensiero espresso magistralmente da Tomasi di Lampedusa: “perché tutto rimanga com’è, tutto deve cambiare”.
Per “Quei bravi ragazzi” si è davvero ispirato a “Divorzio all’italiana”di Pietro Germi?
“Mi sono rifatto a questo film sia dal punto di vista stilistico che relativamente alla parte umoristica. La componente satirica viene espressa mediante l’utilizzo del bianco e nero e con particolari movimenti di macchina, ma oltre a questo aspetto vi è molta amara verità”.
In alcuni suoi film lei si occupa di malavita…
“La tragedia del sud deriva da anni di sofferenza nella quale affondano le radici della corruzione. I miei nonni sono emigrati dalla Sicilia a New York nel 1910 per cercare fortuna. Mi sono sempre chiesto perché non si fidassero delle istituzioni, comprendendo poi che la loro diffidenza era data dal peso di migliaia di anni di soprusi”.