Il Suo approcciarsi alla pittura attraverso una via “fatta di azione, riflessione e reazione” viene detta realizzarsi alle volte durante gli anni per poter sviluppare una parte della propria piena espressione.

Dipingere una nuova immagine è quasi sempre un’impresa difficile perché implica andare ai propri limiti e ancora rimanere sorpresi, persino dopo 30 anni di pittura. Il disappunto e la frustrazione sono inevitabili poiché il cammino verso una nuova immagine, che è di per sé sempre unica, può essere straziante. Azione, reazione e riflessione sono inseparabili. Io provo a creare una forma da ogni situazione e parte della vita di cui ho esperienza.

Quindi, le concentro e cerco di visualizzarle attraverso la pittura. Quando sono di fronte a una tela bianca prima di cominciare a dipingere io inizio una guerra di logoramento, quasi ad evitare il confronto, sulla falsa riga di Fabio Massimo il temporeggiatore. Primi passi abituali: spazzare il pavimento dello studio, mescolare le vernici, mettere a terra le tele e uscire per un caffè.

Thomas Hartman a smart man

Dopo che ho scelto il format, uso le mie proprie immagini, piccolo ritagli di giornale o strutture in scala ridotta che trasferisco sulle tele in maniera accurata, in modo da trasferire me stesso nell’immagine. Nel migliore dei casi ricerco uno stato in cui le mie parti, conscia e inconscia riescano quasi a unirsi e a guidarmi, determinando il mio lavoro.

Dipingere richiede certe condizioni: pace interiore così come la capacità di immergervisi. Fai un passo fuori e poi ci torni dentro. Io cerco di creare un ritmo che abbia frequenze differenti. Non è un ritmo monotono. Si deve imparare a operare a velocità diverse.

A volte dipingere è come ballare su di un fornello bollente: tutto deve avvenire velocemente, altrimenti ti scotti. Ciò include contrattempi – piccoli incidenti che inevitabilmente capiteranno – ma le crisi stimolano la crescita e il maturare delle immagini.

Ti guidano a fare cose mai viste prima per poter mantenere o eliminare qualcosa dall’immagine. Guardando al passato, io di solito sono felice di aver osato lasciare il mio cammino usuale e di aver provato il rischio dell’incerto.

Da dove prende l’ispirazione per il linguaggio figurato che popola il Suo lavoro – le Sue tracce e movimenti di persone piccine, le pile su pile di libri, i crinali, gli alberi, i primi piani e le viste aeree della topografia che sono oltre il paesaggio naturale?

Le immagini prendono forma da immagini esistenti. Non ho teorie; la comparsa dei miei pensieri non segue una strategia particolare. Anche se oggi il mio approccio alla pittura e di conseguenza alle immagini prodotte, è molto diverso da quello che avevo a 20 anni, per me è una linea continua, il mio proprio modo. L’immagine non mi interessa poi così tanto: la mia passione è dipigere. Ci sono temi ricorrenti; alcuni soggetti vengono a me e si lasciano usare come un mezzo di trasporto.

Il punto di partenza è spesso un mix di storie, di foto di qualsiasi tipo, viste in precedenza e di forme e luoghi specifici preferiti. I motivi sono legati alle mie esperienze e alla mia biografia; amo ciò che è familiare. E’ il materiale a cui ritorno una volta che ho trovato la necessaria distanza.

Ciascun pittore gestisce le proprie esperienze e percezioni nella propria, caratteristica maniera. Io posso avvicinare cose sia da vicino che mediante una vista aerea molto dall’alto. E’ questa una forma di sviluppo che non si rifà alla realtà di una mappa ma piuttosto dà forma a un processo interno.

Il Suo lavoro è visto come più vicino a quello dei Romantici Tedeschi che a quello degli Espressionisti ed è stato comparato al fondamentale lavoro di Caspar David Friedrich. I Suoi concetti allegorici, i toni attenuati e le piccolo figure che punteggiano ampi paesaggi rivelano, tutti assieme, un approccio contemplativo. A Suo parere, il Suo lavoro, con quale movimento artistico è più in linea?

Non ho modelli. I primi cataloghi che ho comprato erano su Bacon, Giacometti e Soutine, tutti artisti ai quali mi sono ispirato e che mi hanno stimolato quando ero un giovane pittore. Io mi ritengo un romantico, ma questo è più un atteggiamento che uno stile. Credo ci sia dell’ottima arte in ciascuna categoria artistica, ma non mi classificherei come appartenente a nessuna di esse. Io sono principalmente concentrato in questioni di significato, non di estetica.

Lei ha vissuto ed è stato testimone di più di tre decenni di storia dell’arte mentre essa stessa avveniva. In base alla Sua esperienza, Lei crede che siano gli artisti a influenzare lo spirito del tempo o viceversa?

L’arte è sempre un riflesso del nostro tempo. Agisce come un sistema di allerta anticipata. Il confronto continuo con i media e le strutture globali cambia la nostra comunicazione, le nostre abitudini sul vedere e la nostra percezione. Ogni giorno siamo di fronte a un incredibile inondazione di immagini. Non esiste una legittima classifica fra i diversi modelli di rappresentazione.

Per me, è sempre l’immagine d’insieme. Per quanto mi riguarda, creare arte vuol dire avere una particolare visuale del mondo e degli oggetti in esso. Perché ciò che davvero conta è senza tempo, le domande possono essere poste ancora e ancora. Forse non riceveranno mai una risposta che sia definitiva, ma devono essere poste nel giusto modo per ciascun periodo di tempo.

Quali artisti contemporanei vede come rappresentanti della Zeitgeist, sia influenzati da o che influenzino il nostro mondo di oggi.

Ci sono sempre dei “radiodiofari”, sembra che sia una cosa necessaria. Io rispetto e apprezzo alcuni; a volte ne sono persino invidioso. Ma per poter rispondere a questa domanda dovrei dire qualcosa che in realtà non penso. Io non credo che un artista possa onestamente rispondere a questa domanda. Secondo me, è sempre la somma del tutto.

Lei preferisce giocare un ruolo attivo nella creazione dello spazio espositivo quando si tratta di esporre il suo lavoro?

Nel pianificare una mostra si dovrebbe sempre prendere in considerazione la location: l’architettura del luogo deve essere necessariamente considerata. Ciò include lo spazio appropriato in cui appendere ciascun quadro. Di fronte a ciascuna immagine c’è un semicerchio immaginario che corrisponde allo spazio che l’immagine stessa reclama. Alcune immagini vanno bene assieme ad un’altra, con la quale si completano a vicenda; altre sono delle solitarie assolute. La complessità del dipingere è tanto importante quanto la distanza fra chi guarda e l’immagine stessa. La missione dell’osservatore è di trovare la giusta distanza dall’immagine.