Seguendo le suggestioni che già affascinarono Seurat, Gavin Rain opera attraverso segni primari della narrazione pittorica e attraverso la scienza, mostrando tutte le potenzialità del fenomeno ottico.

Gavin Rain

Nei suoi quadri, piccole corone circolari di varia pigmentazione vengono disposte con metodo sulla tavola come gli elementi naturali di una matrice. Il sistema risultante è illeggibile per lo spettatore fin quando, questi, non si allontana dal quadro: solo allora, in una sorta di rivelazione olistica, scoprirà ritratti di volti noti e opere famose.

Le corone rappresentano l’unità prima un pixel definito ma indistinguibile nell’insieme i cui colori non vengono mescolati e sarà la retina dello spettatore a ingannare la percezione della forma riordinando la struttura: l’occhio non solo percepirà un colore complesso ma recupererà figure familiari grazie a un fenomeno ricostruttivo che riavrà linee e forme lì dove in realtà c’è il bianco della tela.

Le opere si caricano, nelle visioni dell’artista, di un valore emotivo da concedere allo spettatore attraverso un’interazione reale (lo spostamento dell’osservatore da una posizione vicina a una più lontana) e una intellettuale (l’immagine astratta da vicino, la figurazione da lontano), quale metafora di “fare un passo indietro” per un’esatta percezione della vita e del vero.

“Nella nostra realtà accediamo a tutto attraverso dei filtri questi filtri non sono sempre attendibili, per cui la nostra comprensione della realtà non è sempre affidabile spiega l’artista. Non solo non siamo sempre consapevoli di questo, spesso non siamo nemmeno a conoscenza dell’esistenza di questi filtri.

Proprio come la tipografia è un filtro per accedere alla parola scritta, uno stile di pittura è un filtro per accedere a idee rappresentate. Forse il filtro più semplice (e meno ovvio) di tutti è il soggetto stesso: quello che noi decidiamo di includere nella fotografia o nella pittura”