La forza del film “A Star is Born” è senza dubbio l’alchimia tra i due protagonisti Bradley Cooper e Lady Gaga.
La loro complicità anima questa storia romantica nella quale la musica è punto d’incontro di due anime sbandate e in cerca di conforto, ma è palpabile anche al loro arrivo a Venezia (uno dei momenti più attesi della Mostra del Cinema), nel botta e risposta solidale della conferenza stampa e durante il red carpet, mano nella mano.

Oltre all’indiscusso talento attoriale, che l’ha portato a collaborare con registi incredibili come David Lynch (The Elephant Man),Clint Eastwood (American Sniper), Todd Phillips (Una notte da leoni), Bradley Cooper ha dimostrato anche un grande fiuto nello scegliere la trasgressiva pop star come protagonista per il suo debutto dietro la macchina da presa.
E come la Germanotta, anche il suo regista, nel personaggio di Jackson Maine, rivede il proprio burrascoso passato (trascorsi di droga e alcolismo che non ha mai nascosto) e lo utilizza, trasformando insicurezze e zone oscure in una storia commovente e credibile.
Come nasce la decisione di dedicarsi alla regia?
“Il tempo è una bene prezioso che vorrei utilizzare nel miglior modo possibile; ritengo che raccontare storie lo sia. Mi è sempre interessato capire come si costruisce un film in ogni sua parte: questo aspetto mi differenzia da altri attori ai quali interessa dedicarsi solo alla recitazione”
Definisca l’esperienza di recitare con Lady Gaga…
“Nel suo caso non parliamo di un’artista comune, ma di una superstar. Vederla fare l’attrice per la prima volta in un film è stata una cosa fantastica. Ogni ciak mi sembrava un’esperienza nuova e intensa non solo come professionista, ma anche come essere umano”
E di cantare…
“Stefani (Germanotta) sul set, cantava come non stessimo recitando. Pur non essendo il mio lavoro, la mia partner mi ha fatto sentire pienamente a mio agio. Quando un vero professionista condivide con te la sua arte, ti senti protetto”
Qual è la genesi di ” A Star is Born”?
“Sei anni fa, ero ad un concerto dei Metallica. Da dietro le quinte, ho visto la prospettiva di cui un artista gode quando si esibisce davanti a milioni di persone. L’idea parte da questo: il punto di vista di chi domina il palco. Il film, in origine, avrebbe dovuto farlo Clint Eastwood con la mia collaborazione. Ero molto combattuto: da un lato non mi sentivo giusto per il ruolo di Jackson, dall’altro non riuscivo a togliermi dalla testa quella storia. Quindi ho deciso di provarci”.
Quali sono state le sue prime scelte stilistiche?
“L’uso dei colori rosso e blu e l’abbondanza dei primi piani, soprattutto nella prima parte del film. Il messaggio che volevo veicolare era: Ally è una star anche prima di saperlo, quindi deve dominare la scena. Ed essendo un’artista pura, lo fa con grande naturalezza. Jackson, al contrario, evita la macchina da presa, sfugge”.
Quantole è piaciuto essere un cantante?
“Moltissimo. Quando canti tutte le maschere cadono, non puoi nasconderti. E poi è il miglior modo per parlare d’amore, cosa che noi dovevamo fare. Questo mix è risultato vincente”
Un ricordo speciale legato al set?
“Girando tutto dal vivo (Stefani odiava, per entrambi, l’idea di cantare in playback), abbiamo partecipato a dei veri eventi musicali come Glastonbury, il più grande festival di musica all’aperto del mondo e ci siamo esibiti anche davanti a 80 mila persone. Lì, casualmente, cantava anche Kris Kristofferson, l’attore che, negli anni 70, interpretava il mio ruolo nella versione del film con Barbra Streisand. Una grande emozione”.
Com’è stato recitare accanto a Sam Elliot che nel lungometraggio interpreta suo fratello Bobby?
“Sono sempre stato un suo fans e ho “cucito” questo ruolo su misura per lui. Un giorno abbiamo pranzato insieme e ho esposto a Sam la mia idea pazza. Volevo un personaggio con il suo potere comunicativo, capace di esprimere risentimento e sete di vendetta”
Nelfilm,il suo personaggio, dopo una grande popolarità conosce il vuoto del declino. Quanto questa paura può condizionarela vita di un artista?
“Il principale timore di Jackson non è perdere la fama: non si preoccupa dell’esterno, il suo declino è interno. La cosa incredibile dell’essere famosi è che i personaggi noti, in alcuni momenti, vivono immersi nel clamore, ma poi si ritrovano soli”.
I fantasmi del suo passato l’hanno aiu- tata nella costruzione di questo ruolo?
“Trasformare le proprie paure e i momenti bui della vita in una storia, usarli per delineare i tratti di un personaggio che prende vita, oltre che essere terapeutico, dà autenticità alla propria opera. È funzionale alla ricerca della verità. “A star is born” è stato, per me, un momento liberatorio e catartico”.