Il verde e i suoi complementari. Il verde maschile, il verde come la caccia e il verde come il selvatico. Un verde che circonda un universo femminile fatto di rossi, un verde che mira a placare l’esondare della passione di un colore primario.

Il verde serve a calmare, ma ha bisogno di essere eccitato. Nella maggior parte dell’ultima serie di quadri di Arturo Calce, questa caratteristica è dominante. Un dialogo tra due colori tra loro opposti, che sembrano attrarsi in maniera irrimediabile. Le predominanze cromatiche sono così forti da impossessarsi, inconsciamente, anche dei titoli.

Arturo Calce, honi soit qui mal y pense

Così accade per “Fire red with white shoe in a green sofa”, in cui si gioca nel modo forse più esplicito e marcato il contrasto tra questi due universi. Continua, come nella produzione nata a fine 2016, il confronto dell’artista con le grandi dimensioni, questa volta però definite da ricche cornici che hanno lo scopo non tanto di rifinire, quanto di ridefinire il quadro, dandogli quella definitiva impressione di “interiors” che lo caratterizza.

Lui stesso, pur adoperando le bombolette per dipingere, crea una sorta di antitesi tra la “street art”, che fa tradizionalmente uso di questi strumenti, e la sua “living art”, arte da salotto. Nonostante la prima si prenda più la scena, campeggiando sulle pareti di palazzi e muri visti da milioni di persone, nella seconda bisogna riuscire a vincere la sfida della costanza e della quotidianità.

Un quadro da interni deve essere visto, introiettato, vissuto tutti i giorni, entrando in qualche modo nella sfera più intima di chi lo acquisisce come parte del proprio ambiente.Impone un legame forte, deve essere percepito come qualcosa di sincero e di destinato a durare nel tempo.

Arturo Calce, sprinkle and pray

In questo senso i plexiglass di Arturo Calce permettono una circolazione di luce, e quindi di energia, rara da trovare. La luce è l’elemento che più di tutti ne descrive i contorni. Segno pulito, colori netti, mancanza di sfumature, ma soprattutto assenza di ombre e chiaroscuri. Tutto è dato dalla luce piena, è pieno sole. Non c’è sospetto, non c’è sotterfugio, non c’è ambiguità.

Quello che si vede arriva per tessere un frammento di mondo in cui sono altri i piani che creano profondità. Lo sguardo di una donna bardata per “matar”, gli occhi pudici dietro il velo nero della signora inanellata, i volti-maschera nascosti da cromatismi freddi, tutti elementi che rimandano ad un femminile conturbante, ricco di un mistero tanto profondo da poter essere mostrato senza il timore di scalfirlo.

Queste lastre retro-dipinte con forme nette su un supporto trasparente accolgono molte mani. Se la mano destra rappresenta il maschile, quella mano che grazie al pollice opponibile ha cominciato a diventare strumento indispensabile di lavoro, di lotta, di caccia, la mano del femminile è rappresentata dalla sinistra, mano meno portata al lavoro ma spesso languidamente propensa alla posa.

Arturo Calce, spanish girl

Le mani delle donne di Arturo Calce descrivono una figura che forse non c’è nella realtà,

una donna sensuale che riesce ad attrarre senza volgarità, che gioca con gli sguardi e la consapevolezza del suo potere, che non usa le mani per raggiungere scopi precisi, ma come contorno alla sua bellezza. Sono mani sottili, spesso presenti o in primo piano, rifinite da smalti e filiformi. Forse una donna ideale, che unisce alla bellezza la promessa di piacere. Una donna che attrae proprio per il mistero che la caratterizza, un mistero che forse non andrà mai svelato proprio per la forza che così, intatta e intoccabile, emana.

I cicli dei quadri di Calce rappresentano delle narrazioni precise. Ogni ciclo è un libro scomposto in diversi capitoli e se quest’ultimo racconto è fatto dell’unione tra maschile e femminile (mano destra e mano sinistra) l’epilogo sembra quasi raggiungere una sorta di spirito divino.

Un femminile che mostra a malapena il suo volto, con uno sguardo terreno, dove le mani non vengono date a vedere. Qui il rosso scompare, si fa interiore, lascia spazio ad una distensione, ad un appagamento proprio di un essere centrato. Le mani giunte non occorre vederle per sapere che ci sono, l’unione dell’uomo e della donna si fa spirito, si fa icona, si fa madonna dai colori freddi.

Tutto questo universo di simboli emerge da una tecnica che porta il quadro ad integrarsi con l’ambiente grazie al capovolgimento del concetto di site-specific. Non è il quadro ad adeguarsi al contesto perché è il contesto stesso ad entrare nel quadro. Il gioco di rifrazioni e trasparenze porta chi osserva a confondersi con il soggetto osservato, catturato da questi lavori che ricreano un gioco quasi pistolettiano.

Le dimensioni oramai stabilizzate in quel centoquaranta per centosettanta che ne definisce l’orizzonte, fanno sì che le figure ammicchino ad una grandezza naturale. Il confine delle campiture, preciso ma mai netto, lascia quel sapore lattiginoso al colore che ne marca inconfondibilmente lo stile. La ricerca dell’artista si evolve, dando la misura delle possibilità espressive di una tecnica in grado di contenere una dimensione coerente del racconto.