Gli oli di Lorenzo Puglisi ci catturano a tal punto che vi vorremo affondare gli occhi, e non soltanto gli occhi ma tutti i sensi, avviluppati nella trama densa della più misteriosa storia della pittura che egli ha irretito per noi. In realtà non vediamo, ma piuttosto cerchiamo di intravvedere, non delle immagini ma delle pulsioni del subconscio, come di notte, di fronte all’uscio di una porta semichiusa.
Puglisi lavora con il metodo antico di estrarre la luce dall’oscurità
è intento a svelare i lembi di una realtà che appare e dispare, a farci scoprire le larve, le erme rapprese, i sogni coagulati. E lo fa in una dimensione sempre aperta, dove lo spazio si dilata nel buio del tempo, tra un pulviscolo cupo che rende quasi un’atmosfera, un certo clima psichico, di memorie trasfigurate. Magia esoterica, ma anche coscienza lucida di un rapporto che rimane, al fondo, esistenziale.
Si viene immagati, stregati, come in certi rituali medievali, dove appunto non si sa più dove ti porta la vertigine e dove finiscano le certezze, come a dire: nessun appiglio è abbastanza solido per l’umano intelletto. In occasione della recente mostra personale alla Galleria Biffi Arte di Piacenza, intitolata Pitture di luce e di tenebra, il curatore Valerio Dehò, (Critico d’arte, docente di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Bologna) ha scritto:
“È partito oltre una decina di anni fa con il dare esistenza a un popolo di figure solitarie, profonde, definite dall’essere incerte, tremule.”
Cerca nei volti quella solitudine degli alti spiriti che è il sogno della pittura figurativa, e aggiunge Dehò – gli occhi, come in Francis Bacon, non hanno più la funzione di “finestra dell’anima” che potevano avere nella ritrattistica classica almeno fino al Novecento.
Spesso sono occhi che non guardano, ciechi, perché in effetti devono essere guardati.
Sono passivi perché sono loro la rivelazione, i volti attorno a loro sono un riverbero, un alone di luminescenza malata e conclude – assorbono lo sguardo e ciò che restituiscono è una modalità di esistenza che si pone tra il corpo e la pittura, in una zona intermedia, una dead zone ancora ignota, che richiede un viaggio per mostrarsi, e il silenzio per apparire”. Ricordiamo che lo splendido spazio che ha ospitato la mostra, è parte di Formec Biffi, azienda leader mondiale nel settore alimentare, che da sempre guarda con speciale attenzione al mondo dell’arte, trovando nella sponsorship delle arti un territorio espressivo privilegiato.
E lo spirito che la sostiene è il principio per il quale le imprese possono svolgere un ruolo fondamentale per la promozione e la diffusione della cultura, aiutando soprattutto artisti innovativi a diventare protagonisti del loro tempo. Ad ottobre sarà protagonista a Londra con una personale nello spazio “The Crypt” (Euston Road – NW12BA) durante la settimana di Freeze (1-7 ottobre) in collaborazione con la Criscontini Contemporary e Artcom