Secondo Søren Kierkegaard «l’ironia è l’occhio sicuro che sa cogliere lo storto, l’assurdo, il vano dell’esistenza ». E’ per questo che Francesco De Molfetta, giovane e promettente artista milanese, ricorre proprio all’ironia per smascherare le icone popolari che affollano le nostre vite, simboli riconosciuti e riconoscibili del nostro presente e del nostro recente passato.

Dalle Barbie al brand di Mc Donald e Louis Vuitton, da Batman a Biancaneve e i Sette Nani, dalla Porsche alla mucca della Milka, da ET all’omino della Michelin, dai Teletubbies a Guerre Stellari: le sue opere sono un continuo rimando alla cultura di massa, prevalentemente televisiva. Sono la trasposizione, provocatoria e intelligente, di alcune delle sue espressioni più popolari.

Ci troviamo così di fronte ad opere assolutamente singolari, che nascono dalla voglia dell’autore di stupire e stimolare. Troviamo così l’ultima cena in versione fast food, con Gesù che taglia la pizza, tra hamburger e patatine fritte. Oppure il volto di Barbie su un corpo obeso, e non perfetto come vorrebbe il cliché.

E ancora: una madonna con un abito di Louis Vuitton, in un mix irriverente tra sacro e profano. Le opere di Francesco De Molfetta sono, dunque, una specie di destrutturazione delle icone della cultura di massa, attraverso una loro interpretazione in chiave ironica e provocatoria.

Nato alla vigilia dei mitici anni Ottanta, periodo d’oro dell’individualismo, della ricerca del successo economico, del consumismo e dell’ottimismo, l’artista milanese svela le contraddizioni e le ambiguità di quei miti, probabilmente condizionato da un clima sociale profondamente diverso.

Non a caso, dice di essere fortemente affascinato dal concetto della decadenza. Sbeffeggiando i simboli del potere e del successo mediatico ed economico, vuole così invitare i cittadini (termine, questo, scelto non a caso ma in riferimento alla cittadinanza, ovvero alla condizione di appartenenza di un individuo a una comunità, con i diritti e i doveri che tale relazione comporta; tra i primi, vanno annoverati in particolare i diritti politici) ad andare oltre l’immagine, l’apparenza, la superficialità.

Quelle icone diventano il linguaggio visivo che serve per farsi comprendere non da una ristretta élite culturale, ma da chiunque accetti di guardare le sue creazioni. Si comprende, allora, anche il senso del titolo della sua ultima monografia: DEMOcracy. Dove ad essere in risalto è, ancora, il demos, ovvero il popolo. «Voglio parlare alla gente – spiega Francesco De Molfetta – utilizzando un linguaggio comprensibile per dire: attenzione, non fidatevi di quello che vedi, bisogna andare oltre, comprendere
le distorsioni e valutare la realtà, che è più complessa di come appare».

Il suo è dunque un invito a mantenere uno spirito critico che è elemento fondamentale di ogni sistema democratico, antidoto ad ogni deriva populista o autoritaria. In un’epoca contraddistinta dall’eccessiva semplificazione imposta dai nuovi mezzi di comunicazione, il valore delle opere di Francesco De Molfetta è dunque ancora più rilevante, perché riguarda un tema cruciale come la convivenza civile.

Come scrisse Fernando Pessoa, «l’ironia è il primo indizio del fatto che la coscienza è diventata cosciente. E l’ironia attraversa due stadi: lo stadio stabilito da Socrate, quando ha affermato “so soltanto di non sapere”, e lo stadio stabilito da Sanches, quando ha affermato “non so se non so niente”».