Vuole essere scaramantico “May you live in Interesting Times”, che tu possa vivere in tempi interessanti, il titolo scelto per la 58 Biennale d’arte dal curatore americano Ralph Rugoff.

Una Biennale sulla funzione sociale dell’arte? Gli artisti invitati (da tutto il pianeta) affrontano molteplici problemi, dalla violenza, al razzismo e alle allarmanti conseguenze dei mutamenti climatici, e talvolta lo fanno anche con opere dure, che non disdegnano l’horror e altri aspetti forti.

Il risultato è una Biennale veramente interessante

Dei 79 artisti (con supremazia femminile, non era mai successo, ben 42 le donne) gli italiani sono soltanto due: Lara Favaretto (Treviso, 1973) torinese d’adozione e Ludovica Carbotta (Torino, 1982). Nell’immenso Padiglione Italia, gestito all’Arsenale dal Ministero per i Beni Culturali, il curatore Milovan Farronato (Piacenza,1973) di artisti ne ha invitati tre: Enrico David (Anco- na, 1966), Liliana Moro (Milano,1961) e Chiara Fumai (Roma 1978-Bari, 2017), quest’ultima prematuramente scomparsa.

Ed Atkinson (GB), Good Man, 2017 (video sonoro)
Ed Atkinson (GB), Good Man, 2017 (video sonoro)

Ispirato a “La sfida al labirinto”(1962) da un testo dello scrittore Italo Calvino, “Né altra Né questa: La sfida al Labirinto” è il titolo scelto da Farronato e la sfida rivolta al visitatore è ammirare le opere di ottimi artisti annaspando fra corridoi e porte senza maniglie sino alla sfida finale: la scoperta (non facile) dell’uscita. E c’è chi ritorna, per bissare la piacevole avventura nel segno dell’arte. Arte che, secondo Rugoff “ non esercita la sua influenza nell’ ambito della politica, ma può essere una guida alla comprensione delle emergenze del nostro tempo”. All’ Arsenale un benvenuto significativo viene dato da un quadro dell’ americano George Condo: due ubriaconi, quasi degli zombie, simbolo delle abiezioni umane.

Aresnale, opera del pellerossa Jimmie Durham
Aresnale, opera del pellerossa Jimmie Durham

Fra queste, l’orrore delle ragazze rapite e uccise in Messico dai narcotrafficanti e che Teresa Margolles (menzione speciale della Giuria) ricorda (ai Giardini) con un muro crivellato da proiettili e sormontato da filo spinato.Denuncia delle discriminazioni razziali da parte di artisti africani e afroamericani, e per il video “The vhite album”ad Arthur Jafa (USA,1960) è stato assegnato il Leone d’oro come miglior partecipante all’ Esposizione Internazionale. Denuncia invece i massacri e le discriminazioni contro i nativi d’America il pellerossa (come vuole essere chiamato) Jimmie Durham (1940, di origine Cherokee), Leone d’oro alla carriera, che ha portato a Venezia i suoi “mostri”, sculture e installazioni spesso ispirate alle tradizioni indiane, con ossa e crani veri di bisonti ed altri animali.

Il Leone d’argento per una promettente giovane è andato alla 39 enne cipriota Haris Epaminonda

mentre la grande sorpresa è stata il Leone d’oro, per la migliore partecipazione nazionale (ben 90 i Paesi) alla… spiaggia della Lituania, una installazione performance (Sun&sea-Marina) collocata nell’Edificio 42 della Marina Militare, all’Arsenale, Fondamenta Case Nuove. Tre artiste lituane hanno ricostruito una spiaggia, con tanto di sabbia, lettini, ombrelloni, asciuga- mani, secchielli e bagnanti. La giuria è stata colpita dalla garbata denuncia ecologista e dalla “originalità nell’uso dello spazio espositivo, che inscena un’opera brechtiana”.

Il Leone d’oro rischia comunque di diventare spelacchiato. Chi pagherà (e troverà) i finti bagnanti sino al 24 novembre? E quando farà freddo? Non mancano le opere che sconfinano nell’ horror, come il video dell’inglese Ed Atkins “Good Man”( Buon uomo), ma coraggiose e commoventi sono quelle sexy e nello stesso tempo un po’ choccanti della giapponese Mari Katayama, che abbina bellezza in corpi mutilati, affrontando con coraggio il dramma di una rara malattia genetica che le ha colpito gli arti. Un’altra artista, Zanele Muholi, ha portato dipinti a difesa dei diritti degli omosessuali (LGBT), con il volto, a ripetizione, di una lesbica sudafricana.

Un'opera di Ludovica Carbotta a Forte Marghera, progetto Monowe, città di un secolo
Un’opera di Ludovica Carbotta a Forte Marghera, progetto Monowe, città di un secolo

Questa Biennale Arte in teoria sarà l’ultima del presidente Paolo Baratta

che vedrà scadere il suo quarto mandato il 12 gennaio 2020. Però…mai dire mai. All’inaugurazione del Padiglione Italia il sindaco Luigi Brugnaro ha ringraziato Paolo Baratta per “l’opera meritoria, che spero continui a fare”. Fra Amministrazione comunale e Biennale sì è instaurata una importante sinergia, concretizzatasi soprattutto nella valorizzazione di Forte Marghera, fortemente voluta da Luigi Brugnaro per rivitalizzare Mestre e incontrando il parere favorevole di Paolo Baratta, che da anni vi porta eventi delle Biennali Architettura e Arti Visive. Evento speciale di quest’anno la bellissima mostra che Ludovica Carbotta ha allestito nell’ex polveriera austriaca del Forte. Mostra che non è complicato visitare perché la fermata del tram è a soli 250 metri.

Da Forte Marghera al Padiglione Venezia, ai Giardini

Di proprietà del Comune, è fra i Padiglioni più belli dell’intera Biennale (curatrice Giovanna Zabotti). Con sette artisti internazionali che hanno ricostruito la magica atmosfera della città con immagini sacre, enormi bricole che si stagliano nell’acqua che scorre, nebbia, corda, tessuto e legno. Stupendo il video del turco Ferzan Ozpetek, con l’attrice Kasia Smutniak che, nuotando, scivola da uno scorcio all’altro della città più bella del mondo. All’inaugurazione il sindaco Luigi Brugnaro ha espresso tutto il suo entusiasmo per una iniziativa che ha fortemente voluto, come il concorso nazionale per giovani artisti dai 18 ai 35 anni. I vincitori esporranno a rotazione a Ca’ Pesaro e nello stesso Padiglione Venezia per tutto il periodo della Biennale ( sino al 24 novembre). Fra i sette artisti internazionali il frate brasiliano Sividal Fila, prima volta di un ecclesiastico alla Biennale.