Di un artista conosciuto e apprezzato, anche dal grande pubblico, come Ugo Nespolo, si pensa di conoscere tutto, ci si illude di esaurire l’intera sua ricerca in un movimento circolare. Invece, il suo percorso creativo nasconde brusche sterzate, inattesi inciampi, improvvise impennate, nasconde un mondo visionario e acrobatico che si lascia solo intuire nelle opere più note.

Il suo itinerario intimo, le sue meditazioni, la sua alfa, la sua omega, consegnati ad una forma spettacolare che assorbe tutte le radicalità degli ismi del Novecento, nel suo incontentabile tentativo di dare risposte a domande formali, ideali e contenutistiche, oscillanti tra il tutto e il nulla, di chi pensa all’immersione nell’impegno e di chi sostiene l’astensione da ogni cosa e da tutto.

Nespolo sente la necessità, in pieno imperversare dei linguaggi informali, di superare ogni forma d’astrattismo, per una figurazione che non ha nulla a che fare con il realismo classico, ma intenta a minare le forme della società dei consumi, tutta pubblicità e idoli dello spettacolo, capace di dettare i
propri imperativi dolci, sorridenti, ma inesorabili nell’imporre anche la banalità, come essenzialità.

Ne emerge una figurazione scherzosa, basata su immagini che sanno di “rebus”, a misura pop, tutta cartoon, teatro e tv, ma come se fosse seria, ufficiale, monumentale, mentre prevale, oltre alla
semplificazione formale, ed alla riduzione stravolgente, la dissacrazione, nel senso che si possa parlare di tutto, dicendone tutto il male del mondo. Male, che poi non viene né detto, né fatto, ma basta l’intuizione per farne una forma d’arte rimarchevole.

Le sue opere possono straparlare, sgrammaticare, con tutta la libertà che gli viene dall’appartenenza alla stirpe dei vincitori, che però si accorgono di essere anch’essi nel gioco della dilapidazione e della dissipazione.

E, infatti, tutto Nespolo ci appare datato, anche se di buona data e di buona annata, perché il tempo ha modificato tante cose, a cominciare dalla fiducia nel futuro, che non è scomparsa, ma è diventata più sofferente, meditata, meno incline alla spensierata gioventù bruciata, tra vitelloni e dolce vita.

Fare i conti con un Nespolo così spettacolare e al contempo così officinale, è un’occasione critica ghiotta, perché permette di entrare nei luoghi in cui il divo si trasforma in artigiano e inventa i propri trucchi e le proprie macchine sceniche, confidando che nessuno ne verrà mai a conoscenza, perché guai a scendere dal piedistallo e farsi vedere umani come gli altri, perché il circo eterno della modernità non lo contempla.