E’ Ryan Gosling a dare volto e carattere all’uomo che, per la prima volta, ha toccato il suolo lunare.
Basato sulla biografia ufficiale di Neil Amstrong, scritta da James Hansen, “First Man” il lungometraggio narra, in prima persona, vita e opere dell’astronauta statunitense, dando ampio spazio al vissuto quotidiano, a momenti intimi della famiglia, a stati d’animo, rischi e sacrifici lega- ti a una delle missioni più pericolose della storia. Eppure Gosling non definisce il suo personaggio un eroe.
L’attore, giacca marrone, baffi e pizzetto sbarazzino, attento e ironico in conferenza stampa (scherza su un errore tecnico di traduzione simultanea e sulle sue origini canadesi), mette l’accento più sulla preparazione e la caparbietà di un uomo schivo e umile, che sull’impresa eroica di chi ha fatto la storia.
In questo film interpreta un uomo molto riservato che fatica ad ester- nare i propri sentimenti, avrebbe pensato che Amstrong fosse così?
“Neil era una persona umile e reticente. La sfida, nell’interpretarlo, era quella di rispettare il suo modo di essere aprendo, però, delle finestre che mostrassero le sue emozioni”.
Chi e cosa l’hanno aiutata in questo lavoro di costruzione del personaggio?
“Sicuramente l’ex moglie Janet, i figli dell’astronauta, gli amici d’infanzia. Anche la NASA, il museo dedicato ad Amstrong e la dettaglia- ta biografia di Hansen sono state risorse da cui attingere. Il fatto di lavorare con un cast di attori eccellenti, infine, mi ha consentito di creare l’atmosfera giusta e di calarmi nel ruolo”.
Impersonare un punto di riferimento a livello globale non è impresa facile… Quali sono state, per lei, le sfide da affrontare in quest’esperienza quasi surreale?
“In primo luogo ho dovuto imparare a volare. E già qui ho compreso il motivo per cui Neil è diventato un grande astronauta e io no. La seconda difficoltà è stata cercare di raccontarlo in modo diverso, mettendo in evidenza quanto fosse una persona speciale, diversa dal normale”.
Per la seconda volta è stato diretto da Damien Chazelle anche se in un film totalmente diverso. Cosa cerca lei in un regista?
“Innanzitutto (ride) deve avere bei capelli. Damien ha la grande dote di comprendere quello che alle persone può interessare ed ha anche la capacità di unirle attraverso il cinema. Trasferisce il suo amore per quest’ultimo al pubblico in ogni film che realizza. First Man racconta una storia molto complessa che può dividere l’opinione pubblica, ma questo regista è riuscito ad avvicinare le persone, facendo loro comprendere come, l’impresa di Amstrong, sia stata un successo per l’umanità intera”.
Definirebbe il suo personaggio un eroe americano?
(Sorridendo) “Sono canadese, quindi il mio intento non era patriottico anche perchè non considero l’allunaggio un successo solo americano. Non credo che Neil si vedesse come un eroe, forse gli altri lo ritenevano tale: era una persona molto umile. Ha spostato l’attenzione da se stesso alle 400 persone che, insieme a lui, hanno reso possibile lo sbarco sulla luna. Il film, volendo dare una visione fedele dell’astronauta, ha rispettato la sua idea ed essenza”.