Il maestro Osvaldo Licini definiva la pittura come “l’arte dei colori e delle forme, liberamente concepite” in “un atto di volontà e creazione”.

Un’affermazione che ben inquadra la figura di un artista difficilmente classificabile all’interno di un cliché ben definito. Marchigiano di nascita (Monte Vidon Corrado 1894 – 1958), lungo il personale iter pittorico Osvaldo Licini ha saputo cogliere alcune delle poetiche novecentiste personalizzandole all’interno del proprio credo.

Osvaldo Licini, Character against a light blue backround , 1946

Dagli esordi figurativi, dove non nascose mai i suoi apprezzamenti per i nudi di Amedeo Modigliani, esplorò l’astrattismo geometrico trovando successivamente la vera sua dimensione in un surrealismo onirico. In esso figure sospese dall’eco Chagalliano, dialogano con un universo poetico di leopardiana ispirazione.

Le opere di Osvaldo Licini dunque non amano il chiasso contemporaneo, ma adorano rimanere nella riflessione e nel silenzio. Si crea così una sorta di magia che, per esempio, nel ciclo dedicato alla luna denominato Amalassunta, tutto può essere scorto e compreso perché, come da sue parole, è “la luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco”.

Le pitture di Licini emanano dunque sentimenti romantici, la cui comprensione può avvenire solamente in un dialogo intimo.