In quanto inventori di spazi, gli artisti sono spinti dal desiderio di dar vita a situazioni nuove mai realizzate prima sia che esistano nel mondo fisico, sia che esistano in quello virtuale o dell’immaginazione e non si fermano davanti a nulla pur di creare questi luoghi unici.

Di tale invenzione costante dello spazio è esempio tipico l’opera di Steven Scott, artista della luce nato in Inghilterra. Le finestre immaginarie che egli crea per le sue numerose instal- lazioni sono la manifestazione di una lunga e seria ricerca sulla luce come mezzo illusorio e immateriale.

Esplorando tutto il potenziale di quest’ultima, l’artista dà vita ad opere che indagano l’interazione tra chiaro e scuro, aperto e chiuso, giorno e notte: opposti assoluti che all’interno delle sue meticolose composizioni sembrano fondersi senza alcuno sforzo. Nelle installazioni di Scott, l’alternanza tra il buio e la luce può essere improvvisa ed inaspettata, oppure può avvenire in modo graduale, cambiando lentamente con lo scorrere del tempo.

Steven Scott, ecstasy one and two, 2011

Mentre la luce si muta in oscurità, o viceversa, è come se allo spettatore venissero ricordate le leggi fondamentali dell’universo, i cicli coerenti e infiniti secondo cui tutto accade. In relazione a uno dei suoi lavori, “Digital Sun”, commissionato per la Conferenza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi nel 2009, lo stesso Scott ha parlato dell’importanza di rispecchiare il funzionamento del cosmo, affermando: “Si tratta di un’opera meditativa, del calmo chiudersi del giorno”.

E ha aggiunto: “L’utilizzo dei cambiamenti di luce attira l’attenzione sulla natura transitoria del nostro universo. I colori sono scelti con cura. Non c’è sempre un cielo notturno o un giorno di sole. A volte il sole si trasforma in una luna, a volte in un oceano blu. È un modo di ricordare [quella natura]”. Per questo lavoro, l’artista ha creato una forma monolitica di grandi dimensioni con due lati, in vetro bianco opaco e liscio. Al suo interno vi è una sfera di luce dal- la cui superficie sembrano diffondersi dei grossi cerchi di colore.

Scott fa costantemente riferimento ai ritmi della luce naturale e ai cicli delle stagioni, con opere che mutano di continuo con il passare del tempo. L’alternarsi delle transizioni tra luce e colore consente momenti differenti di stasi che non si risincronizzano per centinaia di giorni, e talvolta per anni. Così, gli spettatori si trovano davanti una disposizione sempre diversa.

Steven Scott, untitled for illum’s, 2015

Nonostante la loro palese bellezza, le creazioni di Steven Scott sono ben più di semplici oggetti estetici; esse, infatti, mettono in gioco le condizioni stesse della nostra percezione. Come rilevato in un diverso contesto da Daniel Birnbaum, direttore del Museo d’Arte Moderna di Stoccolma, “questo tipo di arte non ha niente a che fare con gli oggetti. Non riguarda ciò che è davanti ai nostri occhi, bensì ciò che è dietro di essi, i presupposti che rendono possibile la percezione visiva”.

Con la creazione di rapporti complessi e sempre mutevoli tra i colori, viene sviluppata una percezione alterata dello spazio. La natura quasi ipnotica delle opere può far sì che il tempo appaia rallentato oppure accelerato; l’estensione dello spazio altera la percezione del tempo, così come, al contrario, la condensazione del tempo modifica la percezione dello spazio.

Scott è noto anche per la combinazione del materiale visivo con altri dati sensoriali, ad esempio i suoni.Rispecchiando la natura ritmica delle luci, i suoni veicolano dei segnali di cui fa esperienza tutto il corpo, ad esempio una stanza che vibra o delle oscillazioni che attraverso l’aria si muovono nello spazio e diventano tangibili all’interno del corpo.

In “Tree”, opera commissionata nel 2012, una quarantina di rettangoli luminosi sono sparsi sulla parete di un atrio come a riprodurre il modello della crescita della vita organica, diramandosi dal basso in alto verso la fonte della luce naturale sovrastante. I rapporti cromatici tra i pannelli sono dinamici, caratterizzati da un movimento costante e complesso, e si tratta di un flusso e riflusso talmente lento che il cambiamento è appena percepibile dall’occhio umano.

Steven Scott, icon 2010

Data la collocazione dell’opera all’interno di uno spazio pubblico affollato, viene sottolineata l’importanza della percezione alterata. grazie alla sua capacità di creare un’atmosfera di armonia nella quale il tempo risulta rallentato, “Tree” ci rammenta quanto sia necessario prenderci un momento di pausa nelle nostre giornate indaffarate. Nei suoi studi sulla psicologia dell’arte, Rudolf Arnheim ha notato che lo strumento più importante per comprendere l’arte è la percezione stessa, e non una qualche misteriosa capacità cognitiva o emotiva misurabile utilizzando un criterio statico come, ad esempio, la forma, le dimensioni o il colore.

Anzi, sono “le tensioni guidate che vengono veicolate proprio da questi stimoli”. In questo senso, possiamo dire che ciò che Scott è riuscito a creare è un equilibrio complesso e intelligente tra tutti e tre gli stimoli menzionati da Arnheim. Come esito di una lunga ricerca sulle potenzialità della luce unita alla tecnologia, è riuscito a dar vita a una situazione di chiara bellezza che poggia su funzioni e metafore importanti.

Con il flusso ritmico delle luci che riproduce l’infinità del cosmo e la natura ipnotica dell’opera d’arte che contribuisce ad alterare le nostre percezioni, Scott ha prodotto un corpus di grande successo che continua a conquistare l’attenzione del pubblico.