L’opera di Robert Mapplethorpe si configurò in maniera tanto originale in poco più di vent’anni di attività, tra la fine degli anni ‘60 e la fine degli ‘80, da far sì che egli sia ascritto al ruolo di grande testimone, e interprete, dei fermenti culturali di New York del secondo ‘900, dei suoi eccessi, delle sue disinibizioni, se non, in alcuni casi, delle sue depravazioni.
Come definire dunque Robert Mapplethorpe (1946-1989), cresciuto a Long Island in una famiglia borghese, iscritto per qualche tempo al Pratt Institute a Brooklyn e divenuto poi, da autodidatta, mago dell’obiettivo a Manhattan, negli anni delle rivolte giovanili, delle contestazioni politiche contro la guerra in Vietnam, della diffusione della cultura underground, delle droghe pesanti, della liberazione sessuale e dell’AIDS? Senza dubbio, un outsider, divenuto noto anche e soprattutto per le sue relazioni etero e omosessuali.
Patti Smith, poetessa, cantautrice e, soprattutto, musa, fu uno degli amori più intensi della sua breve vita, dal momento in cui si incontrarono nel 1967 e subito decisero di vivere insieme a Brooklyn. Poi, dal ’72, figura chiave per l’artista divenne Samuel Wagstaff Jr., art curator e collezionista, mentore e amante. I ritratti di Smith e Wagstaff, non a caso, sono simbolicamente posti nelle prime sale della mostra, in un gioco di sguardi incrociati.
L’opera
La fama d’artista di Mapplethorpe si legò invece a un medium per molti aspetti straordinario, la polaroid, le cui potenzialità espressive, a partire dagli anni ’50, erano già state sapientemente sviscerate da Andy Warhol, un modello-mito sulle scene newyorkesi per il giovane fotografo.
Fu John Mc Kendry, curatore del Dipartimento Fotografia al MoMA, a incoraggiarlo intorno al 1970 a realizzare scatti con la polaroid, alcuni dei quali sarebbero stati poi esposti nel 1973 nella memorabile rassegna “Polaroids” organizzata alla Light Gallery di New York. Passato all’uso dell’Hasselblad, Mapplethorpe cominciò a costruire quella galleria di personaggi, all’epoca più o meno famosi, che lo avrebbero consegnato alla notorietà internazionale.
Ecco danzatori, attori, body-builder, modelli, ma anche scrittori, artisti, personaggi del mondo dell’arte e del jet-set internazionale che gli furono amici e lo accompagnarono nella sua escalation professionale: dal ballerino Gregory Hines all’attore Arnold Schwarzeneger, dalla modella-culturista Lisa Lyon alla modella-cantante Deborah Harry, dagli scrittori Norman
Mailer e Susan Sontag ai galleristi Leo Castelli e Lucio Amelio (nel 1984 ideatore a Napoli della mostra “Terrae-Motus” cui Mapplethorpe partecipò), fino ai tanti artisti, fra cui David Hockney, Andy Warhol, Louise Bourgeois, Louise Nevelson.
Come antichi atleti
A queste opere “pubbliche” fanno da contraltare i nudi, le nature morte e una selezione di scatti “segreti”, fra i quali alcuni a soggetto erotico tratti dal più volte censurato Portfolio X, presentato per la prima volta nel ’78 presso The Kitchen Gallery.
E sono proprio i nudi, corpi dai chiaro-scuri estremi, presentati come statue neoclassiche e pervasi da una sessualità violenta ma sublimata, libera da sovrastrutture culturali, a prestarsi maggiormente a quell’intreccio coreografico delle fotografie di Mapplethorpe con l’arte antica di cui al MADRE è sottolineata l’ intensità tramite il raffronto con reperti classici provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, o con opere pittoriche e scultoree, rinascimentali in primis.
La figura “in riposo” dello scatto Ajitto rimanda a quella di antichi atleti greco-romani, mentre le gambe danzanti di Philipp parlano il linguaggio dell’ambiguità, così fondante nel teatro classico come nell’arte di oggi.