Invisibile, anonimo, inattaccabile. Ma, proprio grazie all’enigma che lo circonda, l’artista che si fa chiamare Banksy ha raggiunto una popolarità che sarebbe stata insospettabile un paio di decenni fa, quando iniziò la sua folgorante carriera di street artist a Bristol, presumibilmente sua città natale. Chi oggi non conosce Banksy? Tutti ne conoscono e ammirano le gesta grazie anche ai contenuti etici che ogni suo spiazzante intervento racchiude: sia esso eseguito sulla facciata di una casa a Londra, su una saracinesca o sull’inquietante, gigantesco muro che in Medio-Oriente, nei pressi di Gerusalemme separa i territori israeliani da quelli palestinesi.

Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità, allora devi mentire
Banksy

Nel 2005 l’artista affermava: “I muri sono sempre stati il luogo migliore dove pubblicare i lavori”. E poi ancora, sempre nello stesso anno: “Chi sfregia davvero i nostri quartieri sono le aziende che scribacchiano slogan in formato gigante sulle facciate degli edifici e sulle fiancate degli autobus, cercando di farci sentire inadeguati se non compriamo la loro roba… Se le cose stanno così, sono stati loro a scagliare la prima pietra e il muro è l’arma scelta per contrattaccare”.

La prima mostra documentata di Banksy fu organizzata nel ’98 in un garage che condivideva con altri ragazzi a Easton, alla periferia di Bristol. Suppergiù doveva avere 24 anni, visto che i suoi “misteriosi” dati anagrafici ipotizzano il 1974 come anno di nascita.

Uomo o donna, chi può dirlo? Anche se nell’immaginario collettivo Bansky non può che assumere sembianze maschili. “Bansky esiste, di fatto, tramite un logofirma”, scrive Gianluca Marziani nel testo pubblicato nel catalogo della mostra”autorizzata” ora aperta (fino al 27/9) a Ferrara a Palazzo dei Diamanti:”Un artista chiamato Bansky”, di cui Marziani è anche curatore insieme a Stefano Antonelli e Acoris Andipa.

SERIALITÀ COME PRATICA CONCETTUALE

Pur avendo già ricevuto riconoscimenti in Italia – al Mudec di Milano e di recente a Palazzo Ducale di Genova -, l’artista britannico continua a riservare sorprese anche in questa rassegna ferrarese ricca di più di cento opere e oggetti originali (il tutto proveniente da collezioni private), fra cui dipinti, sculture, stencil, serigrafie, queste ultime considerate fondamentali per diffondere il messaggio che le opere di street art di Banksy convogliano: accattivante eppur effimero.

Quarantasei le edizioni di serigrafie pubblicate e stampate tra il 2002 e il 2009 dalla casa editrice Pictures on Wall di Londra (di proprietà di Banksy stesso), di cui una trentina oggi sono in mostra a Ferrara. Emblematiche, in particolare,”Girl with Ballon”, la bambina con il palloncino a cuore, e “Love is in the Air”, l’uomo mascherato che lancia fiori, la cui sagoma apparveper la prima volta effigiata con vernice spray sul muro in Palestina, nell’area della West Bank.

D’altra parte la serialità, esplicitata con efficacia da Banksy anche nell’uso dello stencil – che gli permette di operare, in team, in gran velocità, e con programmata e infallibile precisione -, già era terreno” coltivato” da Andy Warhol più di cinquant’anni fa.

E sicuramente al popist più famoso del mondo Bansky si è ispirato per molta parte della sua opera. Per esempio, al simbolo del capitalismo adottato dal Maestro, ovvero al segno grafico del dollaro, che però l’artista britannico reinterpretò concettualmente nel 2004 in un milione di sterline in banconote da 10 da lui falsificate – il lettering era plasmato sul suo nome (“Banksy of England”) – e poi lanciate alla folla. Oppure alle celeberrime scatolette warholiane”Campbell Soup”, riproposte da Banksy in versione post-produzione”Soup Can” (2005-2006).

Fra le altre ascendenze, indiscutibili quelle dei concettuali statunitensi, fra cui Sol LeWitt – là dove il muro assumeva dignità di idea e valore di opera (wall drawings) -, e quelle dei muralisti centro-americani di metà ‘900 nonché degli street artist anni ’80, come Blek Le Rat.

MESSAGGI DA DECRIPTARE

Fra evidente fisicità e virtualità della comunicazione mediatica, Bansky prende di mira il consumismo, la privazione delle libertà sociali, le manovre economiche mirate a depredare i più deboli, le guerre spietate attraverso la reiterata, e seriale, rappresentazione di uomini, animali e cose.

Impossibile non leggere, dietro le sue immagini dai toni spenti che si fondono con il contesto da cui emergono grazie a qualche tocco di colore, la sempre complessa stratificazione di messaggi e l’intreccio di significati ad ampio ventaglio di leggibilità.

Ricorrente, per esempio il topo, soggetto già protagonista di “Lab Rat”, opera del 2000 ora in mostra a Ferrara. Frutto di un ritrovamento avvenuto in un magazzino ad anni di distanza, la tavola in compensato dipinta a spray e acrilico era stata usata come pannello di un palco al Festival di Glastonbury di quell’anno.

Ecco poi nel 2004 il roditore-gangster (“Gangsta Rat”), che fa il verso ai rapper ma simboleggia anche una razza animale fra le più odiate e braccate; o il topo che disegna un cuore come messaggio d’amore verso l’umanità che si ostina a rifiutarlo (“Love Rat”). In”Virgin Mary” (2003) una Madonna rinascimentale allatta il bambino con un biberon al veleno,

GANGSTA RAT, 2004 SERIGRAPH ON PAPER CM. 50 X 35 – PRIVATE COLLECTION

uno dei casi di détournement, cioè un’operazione secondo la quale immagini desunte dalla storia dell’arte vengono manipolate fino ad acquisire significati che disorientano: la Madre-Santa come cattiva nutrice in un mondo degradato, oppure la Religione come agente destabilizzante della Storia? Mentre la scultura-installazione” Mickey Snake” (2015), in cui
Topolino è inghiottito da un serpente, rappresenta l’ennesima manifestazione d’insofferenza dell’artista nei confronti della Disney, colpevole di insinuare nei piccoli la percezione di un mondo edulcorato e irreale.