È riduttivo parlare di cifra stilistica quando si tenta un approccio alle opere di Edward Hopper. Di certo il suo tratto distintivo risiede nella capacità di raffigurare la solitudine, e di farlo a prescindere dal soggetto del quadro, che sia un essere umano, la natura o un panorama urbano. Edward Hopper riesce a incastonare un momento.
L’eccezionalità sta nella naturalezza con cui certi scenari vengono dipinti: Hopper non usa colori tetri, non disegna creature mostruose o visioni apocalittiche, rappresenta semplicemente la realtà e la sua banalità, eppure è proprio questo che inquieta.
Non è vero che la grande arte americana, sia nata con l’Espressionismo astratto e poi con la Popart nel secondo dopoguerra e che prima ci fosse il vuoto assoluto o tutto al più un arte provinciale e priva di alcun interesse. Con la sua pittura Hopper testimonia dell’apertura americana alla sponda europea, in specie parigina, perché è stata Parigi la città egemone dell’arte fino agli anni Trenta del Novecento, mentre successivamente si è avvitata in una crisi di cui anche oggi non si vede la via d’uscita.
I segni di una identità americana, non influenzata dalla tempesta delle avanguardie, lontana da teoremi ed estremismi, senza per questo poter essere considerata una forma attardata e manieristica, si colgono tutti in questo duplice Edward Hopper, chiaro e solare, metafisico più che surreale, quando si dedica ai paesaggi visti da lontano, inseriti in una assoluta trasparenza dell’aria, denso e sensuale, erotico più che conturbante, quando dipinge nudi di un sapore che risente di Schiele e di Balthus, sebbene di una diversa fascinosità e allusività.
C’è, dunque, un Hopper in pubblico, narratore di paesaggi dove tutto è sospeso in una atmosfera di attesa, in una scambievolezza tra soggetti e oggetti che connotano un vedutismo di grande respiro, allungato sui grandi orizzonti della frontiera americana, molto lontani, anche psicologicamente, dai complicati paesaggi europei, carichi di storia, di stile e di rovine che si sovrappongono tra di loro. Hopper, con mente libera di suggestionismi stravaganti, descrive architetture geometrizzanti, senza vegetazioni scalpitanti e barocchismi impliciti.
A guardare questi paesaggi si può descrivere una geografia fantastica, dove la verisimiglianza dei luoghi è interrotta solo dalla intelligente scelta dei punti di vista che, con i loro tagli, determinano l’essenzialità del quadro e il suo paradossale effetto di straniamento, che è fatto di colori e di linee che si affrontano creando effetti di grande giovinezza espressiva, anche nei dipinti di tarda età, in cui si avverte una superba volontà, che riequilibra gli effetti di una vista non più puntuale, ma è forse per questo che il suo vedutismo, col passare del tempo, diventa più prezioso.
Acquisendo elementi magrittiani allo stato puro, senza interpretazioni psicologiche fuorvianti. L’Hopper in privato, è tutto consegnato alla segretezza del suo sguardo innocente, che segue le linee erotiche dei corpi con attrazione fatale, ma senza mai essere catturato dalla morbosità, cosa che oggi appare con maggiore evidenza, nel nostro contorto universo in cui sessuomania e sessuofobia si scontrano in una arena mediatica che coinvolge la realtà e la virtualità, in una contaminazione, che compromette il discernimento e alimenta tanti tipi di pruderie che niente hanno a che fare con l’arte.
Tutta la pittura di Hopper, da quella più leggera a quella più pesante, fa ancora pronunciare la parola contemplazione, nel senso etimologico del termine, dato da una fortissima capacità di instaurare un dialogo, senza parole, fatto di scorrimenti linguistici che hanno fatto di lui un maestro, a cui non si può non fare riferimento ed anche il suo mercato se ne è giovato, arrivando a cifre di milioni di dollari.
Si tratta di una bellissima pagina del Novecento, che ha seguito la linea della continuità, situando l’invenzione all’interno della sua poetica, che è l’espressione della sua personalità limpida, che non vuole dire semplice, ma capace di mettere ordine nei suoi sentimenti e nelle sue emozioni, capace di fare una vera psicanalisi di se stesso, di guardarsi dentro e di guardare fuori, producendo un universo visivo a tutto tondo, come oggi sempre di meno accade; alcuni dicono che la nostra umanità si sta riducendo in termini mediatici, altri pensano che ci stiamo espandendo tanto, da uscire dall’umanesimo integrale, la cosa che è certa e che ci stiamo trasformando e con essa tutte le nostre percezioni, ma per fortuna siamo ancora in grado di stare con moderni, d’altra tempra, come Edwar Hopper.